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La polemica

Burkini sì, burkini no? Non è questo il problema di Monfalcone

La sindaca Anna Cisint torna sul tema precisando di non aver mai menzionato il costume da bagno utilizzato dalle donne islamiche. Dalla polemica sul burkini però emergono le reali problematiche della città dei cantieri

MONFALCONE - La polemica legata all'uso del burkini a Marina Julia continua a far discutere ed ha ormai invaso anche le testate nazionali. Questa mattina è tornata sul tema anche la sindaca di Monfalcone, Anna Cisint, pubblicando un post sulla bacheca del suo profilo personale. Cisint ha precisato di non aver mai menzionato il costume da bagno utilizzato dalle donne islamiche. 

Il burkini è un costume da bagno

Effettivamente il comunicato fa riferimento al divieto di balneazione vestiti e viene evidenziato che “per le evidenti ragioni di rispetto del decoro richiesto nei comportamenti di chi si reca in questi luoghi, la pratica di accedere sull’arenile e in acqua con abbigliamenti diversi dai costumi da bagno deve cessare". Essendo il burkini un costume da bagno dovrebbe quindi essere tollerato. Va anche detto che, come ricordato da Il Post in un recente articolo, "le restrizioni all’abbigliamento su base religiosa non sono consentite dai trattati internazionali di cui fa parte l’Italia". La sindaca ha fatto più volte riferimento alla comunità islamica, parlando di "islamizzazione del territorio” e affermando che "chi viene da realtà diverse dalla nostra ha l’obbligo di rispettare le regole e i costumi che vigono nel contesto italiano e locale". La polemica si sposta quindi, ma rimane aperta. Da un lato, ci sono coloro che si oppongono all'idea di vedere persone vestite fare il bagno; dall'altro, ci sono coloro che sostengono che ciascuno abbia il diritto di andare in spiaggia come meglio crede.

Cosa ne pensano i monfalconesi

Interpellando cittadini monfalconesi che la spiaggia di Marina Julia la frequentano abitualmente abbiamo constatato divergenza di opinioni. Chi dice di essere d’accordo con la sindaca tuttavia non si focalizza molto su come le persone decidano di andare al mare, ma sul problema di fondo legato alla convivenza con una comunità molto diversa dalla loro. "Stanno tutti per i fatti loro e anche gli italiani lo fanno – spiega un cittadino –. C'è un clima di diffidenza. Bisognerebbe organizzare degli eventi che possano essere un punto d'incontro tra le due comunità". Un'altra residente ha spiegato che, secondo lei, la questione legata all’abbigliamento da mare è un pretesto per poter affrontare "il vero problema". "Quello che a me dà veramente fastidio e che mi trova per la prima volta d’accordo con la sindaca è che queste persone girino per la città coperte in maniera integrale. Come donne, quindi non solo io ma anche molte altre, avvertiamo che c'è una forma di schiavismo verso di loro che aleggia in sottofondo".  “Si va al mare per relativamente poco tempo – aggiunge –. La stagione dura qualche mese, poi non vedremo nulla di tutto ciò in spiaggia, ma in città sì". 

In opposizione

Dall'altro lato, ci sono coloro che si oppongono fortemente alla posizione presa dalla sindaca. Per qualcuno si tratta di un tentativo di "fare la guerra ai bengalesi" piuttosto che promuovere l'integrazione. Un altro residente parla invece di un'azione "incivile" finalizzata a "raccogliere voti di pancia", ricordando che anche gli italiani cento anni fa andavano in spiaggia vestiti. "Alla base c’è l’ideologia dello scontro puro, quando non si vuole ammettere che gli immigrati a Monfalcone servono per l'industria cittadina perché nessun monfalconese vuole fare i lavori che fanno loro". "Allora si può discutere di questo – aggiunge –, ovvero di quale modello vogliamo per Monfalcone. Il modello dei cantieri porta a questo tipo di problematiche. La città oggi è cambiata, quindi una volta accettato questo bisogna fare tutto il possibile per integrarsi". Alcuni cittadini hanno poi sottolineato che ci possono essere molte ragioni per cui una persona scelga di coprirsi in spiaggia, che possono essere legate alla salute, al benessere fisico o alla sensibilità al sole. "Mi pare una semplice accusa per attaccare una comunità e fare di tutto perché non avvenga l’inclusione".

"Ci sono altri problemi"

Infine, è stato evidenziato che l'inquinamento è un problema molto più grave rispetto a come le persone scelgono di vestirsi in spiaggia. "Deriva molto di più da quel mostro che c'è a sinistra della spiaggia (cantiere ndr), dalle creme, dai residui di plastica in mare", ha commentato un residente, sottolineando che l'amministrazione dovrebbe concentrarsi su questi problemi invece di "massacrare una popolazione". In questo clima di tensione, è chiaro che la questione del burkini o dei vestiti al mare sono solo la punta dell'iceberg di un problema più ampio di convivenza e integrazione.

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