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La galleria / S. Giacomo - Ponziana / Galleria di Montebello

"Cucù, la joza non c'è più"

Quattrocentoventi giorni di lavori durante i quali i triestini hanno aspettato, fatto il tifo, criticato ed infine preso in giro. Parodia di una opera nata sotto gli auspici della serietà e del bisogno, e trasformatasi in una vera e propria festa, con divieti infranti e grandi manifestazioni di giubilo. Senza Sacher, frizzantini, né quadri di Boccaccio, bensì con quel diritto all'entusiasmo che si manifesta quando "la buttemo in rider per no pianzer"

Il diritto all’entusiasmo, quel misto tra il witz e la frustrazione e le feroci critiche nei confronti di un’opera che la città attendeva da chissà quanto. Partiamo proprio da qui, dal fatto che Dipiazza governa questa città da 20 anni e questi lavori si sarebbero potuti fare tanto, ma tanto, tempo fa. C’aveva provato Roberto Cosolini, frenato dal patto di stabilità, e neanche quella volta i triestini avevano potuto vedere la luce in fondo al tunnel. Ieri sera è andata in scena – contrariamente alle intenzioni dell’amministrazione comunale – una vera e propria festa. Nessuno ha portato la Sacher – anche se il sindaco l’aveva annunciato, che peccato -, ma in compenso clacson, incontenibile giubilo ed “entusiasmo alle stelle” modello scalette di Barcola che tanto piace alla giunta [cit.].

Divieti farlocchi

Un entusiasmo che però dimentica i patimenti di una intera città per un cantiere infinito e che ieri sera abbiamo definito “chiuso”. Sì, perché i divieti alle biciclette e il limite di 30 all’ora sono rimasti sulla carta, in quella classica indulgenza che l’italico approccio ha nei confronti delle eccezioni. Peccato che questa mattina quell’eccezione è già regola. Mancano solo i monopattini, o forse son già passati, per il resto la galleria funziona come funziona un cantiere chiuso, finito. Poi certo, mancano i quadri di Boccaccio, “andavo a 30 all’ora per baciar la bimba mia” e una sottile ironia che non ha risparmiato nessuno, ma per il resto i giochi sono fatti.  

Diritto all'entusiasmo contro i musi lunghi

Il diritto all’entusiasmo, si diceva, contro i musi lunghi di chi invece punta il dito e si erge al “noi sappiamo come sono andate le cose, bisognava far diversamente, Dipiazza deve chiedere scusa”. Manifestazioni di piazza davanti alla galleria, richieste di risarcimenti per i danni subiti, un tour obbligato a cui sono stati costretti i triestini per oltre 400 giorni. "Vogliamo che le persone vengano risarcite" gridavano le opposizioni poco tempo fa. La periferia sud, la Trieste sud, quella che interessa poco o niente a quasi nessuno – tranne che a qualche consigliere di circoscrizione – finalmente non più corpo separato, bensì tutt’uno con il centro scintillante e strabordante di turisti che si fanno abbindolare da ristoratori dagli accenti meridionali che servono finto baccalà, chiedendoti “andava tutto bene?”. 

Per i triestini i lavori non erano più una cosa seria

Eh no, “cari i miei concittadini”, non andrà tutto bene. Non bastano dirette social o i meme con le Frecce Tricolori, col tram, con le grigliate di Ferragosto; non serve neanche pensare di far leva su un po’ di satira o sulle penali inflitte dal Comune alla ditta, star lì a riempire post rimarcando, rimuginando, a muso duro, l’eterna scontentezza degli sconfitti e di chi “sa come sono andate le cose, Dipiazza chieda scusa”. I lavori della galleria di Montebello non erano più una cosa seria da tempo – forse lo sono stati, per chi ci ha lavorato e per chi alla fine ha pagato le fatture. Per tanti triestini no, o almeno non più: dopo la bocciatura del progetto del “cassero”, degli annunci “la facciamo rapidamente, così le macchine possono passare sotto” e dei plurimi ritardi sulle consegne, i residenti hanno neutralizzato ancora una volta il bisogno di serietà che questa città avrebbe – eccome se ce l’avrebbe –, “buttandola in rider”. Perché alla fine non cambieremo mai. Cucù, la joza non c'è più. 

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