"Farhana, Tahmina e Fatima: vi racconto le donne bengalesi di Monfalcone"
Una lettrice ha voluto condividere la sua esperienza con le donne bengalesi. Di seguito la segnalazione integrale:
"Ciao Babi, come stai?" "Sì, io bene, figlia bene, marito bene. Tu?" "Perché? Non capisco, spiegati meglio". "E’ una lunga storia". Babi è Farhana, Tahmina, Parvin, Fatima, Shima...Tutte le straordinarie donne bengalesi che ho conosciuto negli ultimi 18 anni. Babi è sorella, in bengalese, il loro modo affettuoso di appellarsi. Diciotto anni. Hanno figlie grandi ormai, ma come sono diverse da come erano loro. Quando le ho conosciute, nel 2005, facevo loro dei corsi d’italiano a Monfalcone, per conto del Comune. La grande comunità di stranieri della Fincantieri, e le loro famiglie, soprattutto del Bangladesh, avevano bisogno di imparare l’italiano. Ovvio. Ma non solo. Non è stato solo questo. Io e la mia collega, Graziella Savastano, per tre anni ci siamo immerse in Bangladesh e abbiamo accompagnato le donne, ma anche gli uomini, alla scoperta di Monfalcone, Italia. "Come dici Babi? E perché non vai più in bici che ti piaceva tanto? Perché i tuoi connazionali ti guardano male? Ma che è successo a Monfalcone negli ultimi 20 anni??" Quando le ho conosciute, nel 2005, portavano i loro bellissimi abiti colorati (quanti me ne hanno regalati, fra le altre cose), i bellissimi lunghi capelli al vento, le maniche corte e le più giovani i jeans. Tre anni.
Dopo il primo mese, così, tanto per, ho proposto loro di andare a vedere insieme una mostra (una mostra di che? Neanche ricordo), un pretesto, per sondare il terreno sulla loro disponibilità a uscire. Sono venute tutte. Poi, piano piano, mi sono spinta più in là: lezioni di pizza e cucina italiana tutte insieme, il cinema la sera alla biblioteca, le lezioni di computer, l’attività fisica all’Area Verde. “Ragazze, qua è un attimo a metter su ciccia a forza di biryani e chotpoti, correre forza, correre! Babi, dieci flessioni che ce la fai! Il momento della poesia: durante la manifestazione del Poetry slam in piazza a Monfalcone, tre ragazze e un ragazzo hanno declamato e cantato le poesie del grande Rabindranath Tagore, sommo poeta indiano vincitore del premio Nobel per la letteratura che scriveva però in bangla. Già. Il bangla, bengalese, bengali, chiamatelo come volete, ma è la lingua più dolce, musicale e poetica del sub continente indiano. Non per niente il diritto di poter parlare la propria lingua è stato uno dei motivi della sanguinosa guerra di separazione dal Pakistan del 1971 che ha causato 3 milioni di morti. Il 21 febbraio è la giornata mondiale della lingua madre, giornata sostenuta dall’Unesco su proposta del Bangladesh nel 1999. Quante cose ho imparato da voi: storia, cultura, ma soprattutto gioia. I sorrisi, l’affetto, la riconoscenza, l’accoglienza…Non ho parole per ringraziarvi.
"Come Babi? Non vai più al mare?? Ancora con ‘sta storia del costume…ma se 18 anni fa voi… 18 anni fa". Io e Graziella abbiamo organizzato una giornata al mare a Marina Julia. Tutta da ridere. Voi vi siete cambiate dietro i cespugli, mettendo semplicemente dei leggeri pantaloni e una camicia, io e Graz in bikini. E poi in acqua a cantare e spruzzarci e quel gioco strano che ci avete insegnato: la linea da superare e beccare le altre il tempo di un respiro facendo "zzzzzzzzzz". "Mi sa che ho perso. Furbette voi". E il Bioest, vi ha dato soddisfazione eh? Con il nostro banchetto dove servivate i vostri piatti, e accanto il tavolino dove tutti facevano la fila a farsi fare il mehedi e i tatuaggi all’hennè. Poi siete venute a Trieste, a organizzare i buffet dopo i miei spettacoli. La gente si ricordava più il vostro cibo del mio spettacolo ma vabbè. E le feste? Là, nel cortile del baretto del nostro amico. Cibo, ma soprattutto ballare, ballare. E il gioco della sedia che ha vinto Nilufar? Al nono mese di gravidanza, non mollava, fregava il posto a tutti! E non ti dimenticherò mai, Tahmina, quando nel 2008 avevamo la scadenza della gravidanza insieme, e ci siamo promesse di telefonarci, la prima che avesse partorito. E tu mi hai chiamato, un filo di voce, ancora sul letto del parto, che la tua bimba è nata due giorni prima della mia. Tante di voi sono partite per altre città, altri Paesi, ma qualcuna l’ho rivista negli anni: non più progetti che prevedano attività del genere, ma solo per i corsi d’italiano.
A distanza di un anno, due, la lunga pausa del covid. Vi ho visto sempre meno colorate, più coperte. L’ultima volta, l’anno scorso, tante di voi vestivano di nero e portavano la mascherina anche se ormai non era più obbligatoria. Io vi dicevo “puoi toglierla” e voi “ all’uomo non piace”. Quale uomo? Non quello che ho conosciuto io. L’ “uomo” è l’insieme della comunità, che si rintana nei suoi despotismi in nome della conservazione della propria tradizione. Ma qualcosa non mi torna. Vi ho visto, anche un anno fa, sotto i veli neri e la mascherina, combattive, volenterose di imparare, di aprirvi. E’ la tradizione di chi? Di chi stiamo “rispettando” la tradizione? L’alternativa è l’esclusione sociale, la solitudine. Puoi anche rinunciare alla tua comunità, ma per andare dove? Diciotto anni fa ti avrei detto: guarda, come fai un passo in avanti tu, lo fanno anche gli altri. Ti sostengono, non ti lasciano sola. Adesso non so cosa dirti. Non sono più così immersa nella realtà di Monfalcone come lo sono stata quei tre anni, ho solo visto un’involuzione, una chiusura, un abbandono che non mi aspettavo. Non voglio pensare che quei tre anni non siano serviti a niente. Credo solo che fossero pochi. Che bisognava continuare, uno scambio continuo, un dialogo costante, osare, come abbiamo fatto noi portandovi al mare, in piazza a cantare e fare hennè, a teatro, al cinema, nelle scuole a incontrare gli studenti.
"Sì, Babi, lo capisco: nessuno t’invita più a fare queste cose. C’è tuo marito, tuo padre, tua madre, tuo fratello, che ti dicono cosa fare. Ma a loro chi dice cosa fare? L’imam dici? Ah". In effetti nel 2005 non ricordo tanto gli imam quanto un uomo della comunità, presidente di una delle associazioni presenti sul territorio. Era un po' un vostro referente, interagivamo molto, noi e il Comune, con lui. Non era proprio una persona trasparente, hai ragione, infatti poi è scomparso misteriosamente, però ricordo che non parlava mai di religione. Era laico. Solo una volta, ricordo che a me e alla referente del Comune con cui lavoravo al progetto, ci si è avvicinato un uomo, definendosi un imam, chiedendo un qualche tipo di sostegno economico. L’abbiamo facilmente liquidato, e si vedeva che non aveva nessun credito neanche presso i connazionali. Mi sa che le cose sono diverse adesso. Spero di vederti al prossimo corso d’italiano. Ma a quello so che verrai, che ci tieni e lotterai con i pugni e con i denti per venire. Ma ancor di più, spero di vederti al mare, a Marina Julia. Magari non in bikini, ma leggera, e con i capelli al vento. "Pensa alle tue sorelle in Iran, Babi, come stanno lottando per i loro diritti. Quindi anche per te, per tutte voi Zan, zendegi, azadi. Donna, vita, libertà".