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Martedì, 30 Aprile 2024
Cronaca

Migranti "ammanettati e minacciati con bastoni": cosa dice la sentenza che condanna il Viminale

Sono 13 le pagine firmate dal giudice del tribunale di Roma Silvia Albano con cui è stato accolto il ricorso di un cittadino di 27 anni di nazionalità pakistana arrivato a Trieste nell'estate del 2020 e riammesso subito dopo. Ecco come il giudice condanna il ministero

La sentenza con cui il tribunale di Roma ha sancito il diritto di un 27enne di origini pakistane a presentare domanda di protezione internazionale in Italia mette in luce alcune gravi responsabilità da parte del ministero dell'Interno nel fenomeno delle riammissioni sulla Rotta balcanica. Oltre alle reazioni delle parti - il mondo dell'accoglienza "esulta" per una decisione che definisce "storica", mentre da Lega e sindacati di polizia piovono critiche su una sentenza che "infanga le divise" e che non ha ascoltato il Viminale - il testo evidenzia alcuni passaggi importanti per riuscire a comprendere al meglio la vicenda.  

Il tribunale condanna il ministero: le riammissioni sono illegittime

La storia: l'arrivo in Italia 

Il ricorso era stato presentato dal giovane pakistano che, arrivato nell'estate del 2020 a Trieste, si era visto riaccompagnare assieme ad altri migranti, al confine con la Slovenia e da lì, catapultato prima in Croazia e poi nel vortice bosniaco. Nella sentenza emessa dal giudice Silvia Albano si legge che subito dopo il suo arrivo, nei pressi presumibilmente di piazza Libertà (vengono menzionati alcuni volontari che prestano cure alle persone ndr), lui e altri migranti sarebbero stati avvicinati da "alcune persone in abiti civili qualificatisi come poliziotti". Dopo alcune risposte sul loro percorso migratorio e, nonostante "la volontà di chiedere asilo", il gruppetto sarebbe stato portato "in una stazione di polizia dove gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, sequestrati i telefoni" ed infine "ammanettati". 

"Rispediti" indietro 

Da qui, sempre secondo la testimonianza del giovane pakistano, sarebbero stati portati nei pressi del confine sloveno sul Carso e "intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a cinque". Pochi minuti dopo lo stesso gruppetto sarebbe stato fermato "dagli spari della polizia slovena che li aveva arrestati e caricati su un furgone". Dopo la notte passata dentro ad una stanza di una stazione di polizia, sarebbero stati portati sul confine con la Croazia, ammanettati con le fascette di plastica, presi a calci e picchiati con i manganelli, e consegnati agli agenti croati. 

Roberti: "Viminale non è stato ascoltato, la sentenza non è oro colato"

Il vortice balcanico

Una spirale di violenza (manganelli avvolti dal filo spinato, spray al peperoncino, solo per citare due esempi menzionati nel decisione del tribunale ndr) denunciata da tempo dalle organizzazioni umanitarie e documentata da importanti organi di informazione, e più volte citata nel testo della sentenza. La gravità della sentenza si basa anche sulla risposta dello stesso ministero ad un'interrogazione parlamentare nella quale era stato dichiarato che le riammissioni vengono applicate "anche qualora sia manifestata l'intenzione di richiedere protezione internazionale". Oltre a questo, il foro di Roma afferma che il ministero "era in condizioni di sapere" e sulla stessa istituzione ricadrebbero responsabiltà gravi: si parla infatti di aver violato la Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea e la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Il Viminale dovrà pagare oltre 2000 euro di spese legate al procedimento. 

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