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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Coronavirus e inquinamento: esiste una correlazione?

Sicuramente l’aria che respiriamo è malata e in alcuni casi supera i limiti di legge consentiti e la media suggerita dall'OMS per tutelare la salute umana. Spesso, poi, si è anche sentito parlare di correlazione tra inquinamento atmosferico e Covid-19. Ecco qualche considerazione

L’esposizione all'inquinamento atmosferico sembra favorire lo sviluppo del Covid-19, ma l’eventuale effetto dello smog sul Coronavirus è un’ipotesi che dovrà essere accuratamente valutata con indagini estese e approfondite. Ad ogni modo, l’aria che respiriamo è malata, superando spesso i limiti di legge consentiti e la media suggerita dall'OMS per tutelare la salute umana. Questo sicuramente comporta gravi danni per la salute dei cittadini: l’Italia è  uno dei Paesi in Europa con il più alto numero di morti premature (oltre 60.000 secondo EEA), molte delle quali avvengono in pianura padana. Il traffico si conferma elemento centrale nella produzione dell'inquinamento, dato confermato anche dalla significativa riduzione delle concentrazioni di inquinanti in atmosfera durante il periodo di lockdown che ha visto una riduzione del 20% a febbraio e quasi del 60% a marzo rispetto al mese di gennaio. 

Diffusione del Covid: tutte le ipotesi

  • Gli studi effettuati fino ad oggi suggeriscono che il Coronavirus viene trasmesso principalmente attraverso le goccioline respiratorie (droplets) di una persona infetta a distanza ravvicinata a seguito di un colpo di tosse o di uno starnuto o la semplice parola; più raro il contagio attraverso le superfici infette (Cheng et al., 2020; Lewis, 2020; Schwartz, 2020).

  • Vi sono anche alcune indicazioni che suggeriscono che il virus nell’aerosol di un ambiente chiuso possa essere ancora infettivo (NAS, 2020, Lewis, 2020).

  • Si è infine ipotizzato che il particolato atmosferico possa essere un supporto (carrier) per la diffusione del virus per via aerea, ma questa ultima ipotesi non sembra avere alcuna plausibilità biologica. Infatti, pur riconoscendo al PM la capacità di veicolare particelle biologiche (batteri, spore, pollini, virus, funghi, alghe, frammenti vegetali), appare implausibile che i Coronavirus possano mantenere intatte le loro caratteristiche morfologiche e le loro proprietà infettive anche dopo una permanenza più o meno prolungata nell’ambiente outdoor. Temperatura, essiccamento e UV danneggiano infatti l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare.

  • La diffusione non corretta di tale ipotesi, non suffragata da evidenza scientifica, può essere molto fuorviante nella comunicazione del rischio alla popolazione, già disorientata dalla contrapposizione fra “distanze di sicurezza”, troppo ravvicinate - se consideriamo la possibile trasmissione aerea via micro-droplets in ambienti chiusi (National Academy of Sciences degli Stati Uniti) e l'improbabile diffusione a chilometri di distanza secondo l’ipotesi “carrier”.

Le parole di Legambiente

Come sostiene Legambiente: "Pre o post Coronavirus, la nostra aria è sempre malata. A seguito del blocco delle attività per contenere la diffusione del virus sul nostro pianeta l’inquinamento è calato in maniera indiscutibile, seppur in modo non omogeneo: è sicuramente necessario capire se lo stesso inquinamento abbia giocato un ruolo nella diffusione del virus - come sostengono alcuni - ma di certo non è sufficiente che due fenomeni avvengano contemporaneamente per stabilire che uno sia stato causa o conseguenza dell’altro. Possiamo però dire che nelle persone con patologie respiratorie il virus aggrava la sintomatologia. Per esempio in bambini con l'asma."

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