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Acquedotto teresiano di Trieste, "sotto ai nostri piedi c'è una risorsa che potrebbe ancora essere utilizzata"

Dal 1751 fino al primo Novecento è stata l'acqua carsica che veniva raccolta nel Capofonte teresiano a provvedere alle necessità della città. Oggi l'acqua di Trieste arriva dalla bassa Pianura isontina, ma il pericolo dell'inquinamento spinge i ricercatori a cercare alternative per il futuro anche tra le acque carsiche

Dopo gli incendi del 2022 e le siccità degli ultimi anni la questione dell'acqua è diventata tra le più rilevanti per il futuro. La Società Adriatica di Speleologia, che fa ricerca sulle cavità naturali e artificiali, ha aperto a tal proposito per il pubblico il Capofonte teresiano che si trova a San Giovanni in via alle Cave 55.

Il Capofonte teresiano

Il centro di raccolta delle acque era stato voluto nel 1751 da Maria Teresa. Era dall’epoca romana, infatti, che Trieste non aveva provveduto a modernizzare l'acquedotto che portava l'acqua in città. L’acqua, raccolta a San Giovanni, veniva poi convogliata fino alle fontane di piazza Unità, piazza della Borsa e piazza Ponterosso. La crescita della popolazione cittadina e l'inquinamento dell’acqua a causa della mancanza di fognature ha portato nel Novecento alla ricerca di una fonte alternativa e l’acquedotto è stato lentamente dismesso.

300 milioni di litri d’acqua sprecata all’anno

L'acquedotto continua a raccogliere ancora oggi circa 300 milioni di litri all’anno che poi finiscono in mare. “Perché non pensare alla grande e come nel 1750 riportare quest’acqua nelle fontane?” dice il presidente della Società Adriatica di Speleologia Marco Restaino. Uno dei tanti progetti che forse un giorno si realizzerà, proprio come quello appena comunicato dall'associazione rispetto a un nuovo tratto sotterraneo del fiume Timavo appena scoperto. Una novità che potrebbe tornare molto utile in futuro.

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