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Wolfgang Flür (ex Kraftwerk) al Science+fiction: «Così abbiamo cambiato la musica, senza saperlo» (INTERVISTA)

L’inventore della batteria elettronica, precursore della techno e dell'electro-pop, ci spiega come si fa a cambiare (inconsapevolmente) l’immaginario collettivo

Nella “Notte degli ultracorpi”, (il party notturno collegato al Trieste Science+fiction festival) una gran varietà di generazioni si è riunita nel nome di Wolfgang Flür, il visionario scienziato musicale dietro alle percussioni dei Kraftwerk fino al 1987. Una delle menti dietro al rivoluzionario sound che, negli anni 70, ha segnato l’immaginario collettivo gettando le basi per quella che, anni dopo, sarebbe stata la musica techno. 

A partire dal 1972 il gruppo di Düsseldorf ha creato un mondo di sonorità e immagini che prefiguravano un mondo di androidi molto prima della commercializzazione del Commodore 64 e del synth-pop anni 80. Dopo aver lasciato i Kraftwerk, la carriera di Flür non si è fermata ma è proseguita in autonomia con il progetto Yamo in collaborazione con Andi Toma dei Mouse on Mars, fino al recente album solista “Eloquence”, del 2015. È invece del 2000 la sua biografia “Ich war ein roboter – Io ero un robot”, che racconta la sua esperienza nei Kraftwerk. E il 4 novembre del 2017, a 70 anni, Wolfgang si esibisce ancora dal vivo e, prima dell’affollato dj set al Mandracchio nell’ambito del festival della fantascienza, ci parla di quel passato in cui le telecomunicazioni e la robotica potevano essere solo immaginate. 

Con i Kraftwerk avete sostanzialmente creato un nuovo genere. Vi rendevate conto della rivoluzione che stavate provocando?
«Abbiamo un po’cambiato le caratteristiche della musica negli anni 70, ma non era nei nostri piani, per noi era semplicemente un gioco, è successo e basta. L’etichetta di “gruppo futuristico” ce l’hanno assegnata i media dell’epoca ma noi non eravamo consci di influenzare il futuro. Quando un artista immagina il futuro viene spesso scambiato per pazzo, ma non deve farsi influenzare e deve mantenere e difendere la sua idea: solo in questo modo produrrà qualcosa di rivoluzionario. Ovviamente senza talento artistico tutto questo non è possibile, ma il talento deve essere accompagnato da una buona dose di pazzia». 

C’è qualche musicista attuale con cui condivide questa visione?
«Sento affinità con chi combina pazzia e talento – continua Flür -, una combinazione che ho trovato nel duo Mouse on Mars, con cui ho collaborato e di cui fa parte Andi Toma, che è stato co-produttore nel mio primo album dopo i Kraftwerk. Lui è molto simile a Florian (Schneider, dei Kraftwerk, ndr), anche se la sua generazione è differente dalla mia: loro hanno un background a cui appoggiarsi, noi non avevamo altro che “schlager” (ballate tradizionali, ndr), che ascoltavano i nostri genitori, e che io detestavo. Quindi abbiamo dovuto inventare tutto partendo dal niente».

Come spiega il boom della fantascienza “vintage”, ossia il futuro visto dal passato, nelle nuove generazioni?
«Forse i giovani d’oggi hanno molte domande, ma non ci sono i genitori pronti a rispondere. I ragazzi sono lasciati a se stessi e forse nei film datati trovano quella connessione con le generazioni passate di cui hanno bisogno. Mi piacerebbe provare ad avere 17 anni oggi, e avere così tanta tecnologia intorno. Adesso non si leggono più i libri e non si è più costretti a collegare le immagini alle parole, tutte le immagini sono già pronte e diventa difficile sviluppare un immaginario proprio. Quando ero piccolo la nonna leggeva a me e ai miei fratelli le favole dei fratelli Grimm, l’unico effetto speciale era la luce spettrale della lampada, il resto (colori e odori) spettava a noi immaginarlo. Ora non è più necessario visualizzare nulla, le macchine visualizzano per noi».

Com'era il mondo, quando lei era bambino?
«Io, Florian e Ralf, siamo nati in quella generazione che ha dovuto costruire da sé i propri giocattoli. I miei genitori erano poveri, la Germania era distrutta e quasi non c’erano negozi di giocattoli. Ce n’erano alcuni ma erano troppo costosi, rimanevamo con il naso sulla vetrina a guardare modellini di treni e autobus che non avremmo mai potuto avere. Forse da lì ha avuto origine “Trans Europe Express” (sesto album dei Kraftwerk, del 1977, ndr).

Lei ha inventato la batteria elettronica quasi per caso, collegando una batteria comune a dei fili elettrici. Ci può raccontare com'è successo?
«È accaduto durante il primo show televisivo tedesco perché in studio c'era una batteria giocattolo, per giunta rotta, e io non avevo intenzione di suonarla. Quindi mi sono messo a sperimentare, quella situazione ha creato la necessità per quel passo avanti che ha reso possibile la batteria elettronica. È stata una soluzione di fortuna, non una soluzione “futuristica”: lo è diventata solo dopo. Spesso dimentichiamo che il futuro ha sempre origine dal presente».

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