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Venerdì, 26 Aprile 2024
L'intervista

Quando le ferite sono invisibili, gli effetti psicologici della guerra sui bambini

Gli eventi traumatici che caratterizzano il conflitto in Ucraina incidono sull'infanzia dei più piccoli. Disturbo da stress post-traumatico, ansia e incubi notturni sono solo alcuni degli effetti della guerra sulla loro salute psichica. L'intervista agli psicologi dello studio Kea

Dall'inizio della guerra in Ucraina oltre 67 mila profughi sono transitati dai valichi del Friuli Venezia Giulia e di questi quasi 6 mila sono rimasti in regione. Si tratta di donne e bambini che hanno lasciato la casa e i loro affetti per fuggire dalle bombe e dall'invasione russa. Ma quanto incide il conflitto sull'infanzia dei più piccoli? Disturbo da stress post-traumatico, ansia e incubi notturni sono solo alcuni degli effetti della guerra sulla loro salute psichica. Abbiamo approfondito l'argomento con lo psicologo-psicoterapeuta Lorenzo Zancolich e lo psicologo-psicoterapeuta e specialista in neuropsicologia Thomas West, dello studio Kea di Trieste.

Quali sono gli effetti psicologici della guerra sui bambini?

Il rischio per i bambini che vivono una guerra è quello di sviluppare un disturbo post traumatico da stress. Solitamente può comparire quando ci sentiamo o percepiamo di essere in pericolo di vita. A seguito di questi avvenimenti nel minore nasce il rischio di rivivere continuamente l'evento traumatico, sia attraverso immagini e pensieri, che incubi notturni. Quel che può manifestarsi è una vera e propria condotta di evitamento, messa in atto per non ritrovarsi in situazioni analoghe a quelle che hanno vissuto. Se, per esempio, un bambino ha passato diverso tempo in un rifugio antiatomico, tenderà ad evitare stanze chiuse in quanto potrebbero ricordargli il trauma. A differenza degli adulti, nei bambini si può osservare una maggiore irritabilità, nervosismo e uno stato di costante attivazione fisiologica che si manifesta con ansia, disturbi del sonno, iperattivazione o ipervigilanza, oltre che problemi di concentrazione. Inoltre i più piccoli, se soggetti a stimoli uditivi (scoppio di bombe o mortai) possono sviluppare un'ipersensibilità a rumori molto forti e, in presenza di essi, rivivere l'evento traumatico.
La famiglia gioca un ruolo fondamentale in questi casi: se ci sono figure di riferimento capaci di gestire la loro paura è probabile che il bambino impari a sua volta a gestire la propria. Se al contrario i genitori o le figure di riferimento non sono in grado di farlo e cadono in preda allo sconforto, il bambino tenderà ad assimilare le loro reazioni. 

Quanto influisce l'essere catapultati in un altro Paese, considerato anche lo scoglio della lingua?

Per i bambini è molto difficile lasciare l'ambiente in cui stavano crescendo. Non si tratta solo della famiglia, che sicuramente ha un ruolo centrale in questo momento, ma anche tutti gli altri punti di riferimento come amici, insegnanti e tutte le figure che componevano la loro routine. Lo scoglio della lingua è sicuramente importante ma, a meno che non siano presenti altre difficoltà, può essere superato. L'incognita è quella a lungo termine, ovvero il percorso che dovranno affrontare. Sono sicuramente già stati fatti interventi di inclusione all'interno delle scuole ma sono legati a situazioni di emergenza. Bisognerà vedere come reagiranno nel tempo considerati i loro limiti e il fattore di stress. Il cervello cerca sì uno stato di comfort ma se si è in sofferenza, è difficile trovare tranquillità. 

Come si raccontano la guerra e la morte ad un bambino? 

E' molto delicato e dipende sempre dall'età e in che fase evolutiva si trova il bimbo: in alcune il pensiero della morte è qualcosa che ancora non fa parte della loro vita e quindi diventa sicuramente più complesso. In altre, la perdita di qualcuno può essere elaborata in una maniera un po' più consapevole. Non c'è un unico modo, ma come per tutte le notizie molto stressanti bisogna utilizzare un linguaggio comprensibile, onesto e ovviamente tutelante nei loro confronti, cercando di non aumentare lo stress che già stanno provando in quei momenti. 

Cosa fare per aiutarli? Come interagire con loro? Quale il miglior approccio? 

Il modo più discreto e rassicurante possibile è sempre quello che funziona meglio: non essere troppo diretti, ricordare che stanno vivendo qualcosa che noi non abbiamo passato e che possiamo comprendere solo in parte, cercare di metterli il più possibile a loro agio e far capire loro che sono al sicuro. Inoltre è consigliato evitare di ritornare su quello che è successo, perchè non farebbe altro che aumentare la sintomatologia ansiosa. Tra le buone pratiche c'è anche quella di cercare di essere flessibili e accoglienti con le manifestazioni di disagio che può avere il bambino: se siamo in presenza di scatti d'ira, bisogna cercare di comprenderlo perché probabilmente sta sperimentando qualcosa che coscientemente non riesce ad elaborare. Dobbiamo essere noi adulti quelli in grado di tutelarlo, senza forzare troppo la mano perché dietro a queste reazioni c'è un motivo valido. Un bambino che lascia gli amici, la casa, i giocattoli ha diritto di essere arrabbiato, spaventato o triste. Ovviamente non ha la capacità di articolare un pensiero o un discorso completo, quindi le sue reazioni sono di pancia e istintive. Noi abbiamo il compito di aiutarlo a dare un senso a ciò che gli sta succedendo. Un altro aspetto da non sottovalutare è la routine, che va da subito ripristinata. La quotidianità è rassicurante. Il trauma può bloccare le persone, proprio per questo è necessario dare la percezione che la vita non si è fermata. E' un aiuto in più per far sì che riescano a superare questo momento drammatico.

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