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Cronaca

Alessandro Taverna con esiti diversi affronta i due Concerti pianistici di Ravel

Un curriculum invero imponente annuncia il solista del terzo ed ultimo concerto della prima tranche Sinfonica proposta dal Teatro Verdi, diretto dal maestro Paolo Longo

Un curriculum invero imponente - in cui figurano alcuni tra i maggiori maestri, organici, auditorium e concorsi, nonché il “Premio Presidente della Repubblica” ricevuto per i meriti artistici e per la carriera internazionale - annuncia il solista del terzo ed ultimo concerto della prima tranche Sinfonica proposta dal Teatro Verdi, il pianista Alessandro Taverna che all'attività concertistica abbina il lavoro didattico presso il Conservatorio Tartini e la Fondazione musicale Santa Cecilia di Portogruaro. Giustificata, dunque, l'attesa della serata che vede il giovane musicista affrontare i due capolavori di Ravel. Si comincia con il Concerto in re per la mano sinistra e sin dall'inizio l'esecuzione non uguaglia l'altezza delle aspettative.

Si nota, prima di tutto, che Taverna non ha emotivamente metabolizzato la splendida scrittura, privandola parzialmente del suo intrinseco pathos e drammatica bellezza. Il suo tentativo di infittire le atmosfere e l'impatto emotivo con un enfatico uso del pedale non sortisce il desiderato effetto e non fa che scemare la limpidità e risolutezza dell'eloquio. Piuttosto del discorso stesso, se ne percepiscono gli echi distaccati di contorni sfumati, non sufficienti a coinvolgere genuinamente il pubblico. Con snodarsi del brano aumenta, inoltre, il numero di smagliature, di imprecisioni e titubanze, nonostante la tecnica potenzialmente sia ben più che decorosa.

A conferma di quest'ultima osservazione, arriva il Concerto in sol ed è davvero una graditissima sorpresa il notevole cambiamento palesato sia nell'atteggiamento, nell'intimità con la partitura, sia sul versante tecnico ed espressivo dell'interpretazione. Qualche particolare non è perfettamente levigato o pronunciato con impeccabile chiarezza ed alcune frasi, di conseguenza, invece di inarcarsi in un'ampia voluta si spezzano alquanto proiettandosi in un'ogiva gotica, però complessivamente il pianista offre una fortemente sentita lettura, delicata eppure comunicativa ed avvolgente, cosparsa di graziosissime soluzioni e di passaggi introspettivi di commovente eleganza, specie nel riuscitissimo Adagio assai.

La platea non manca a cogliere tale trasformazione e seppure non possiamo parlare di uno spiccante entusiasmo, l'intensità degli applausi reclama un bis suonato con alto virtuosismo, Play Piano Play di Friedrich Gulda. Il secondo protagonista dell'evento è il maestro Paolo Longo, internazionalmente riconosciuto per la sua produzione musicale, per dieci anni il Maestro collaboratore presso il “Verdi” dove ora ricopre l'incarico del Direttore musicale di palcoscenico, dopo le esperienze ottenute come Chef assistant all'Opera di Lyon, al Théâtre du Châtelet ed al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi.

È nota la sua affinità con la musica contemporanea, e sebbene il programma spazia tra il secondo e il terzo decennio dello scorso secolo, Longo lo abbraccia con lodevole passionalità e attendibile competenza, ispirando l'Orchestra alle esecuzioni intensi, di ampia gamma dinamica e di apprezzabile puntualità. A dire il vero, anche la prestazione dell'organico migliora nettamente dopo il brano di apertura, segnato da qualche incertezza e sfasamento, per assestarsi considerevolmente durante il successivo componimento raveliano.

Nel secondo tempo, sono i Jeux – poème dansé di Debussy e Bacchus et Ariane – Suite n.2 op.43, un esigente pezzo di rarissima esecuzione del alquanto dimenticato Albert Roussel, coevo a Ravel e Debussy, a mettere in risalto la duttilità e compattezza timbrica, l'equilibrio e l'agilità tecnica concernenti tutte le sezioni orchestrali. Forse la direzione non abbonda di rifiniture e sottigliezze, ma la narrazione è piuttosto scorrevole, solidamente impostata, scandita da egregiamente articolate deflagrazioni sonore e dai riusciti assolo.

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