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Sabato, 27 Aprile 2024
Il caso

Trovato morto in carcere, la madre chiede verità: "Avvisata appena il giorno dopo, perché?"

Leudy Gomez Rodriguez aveva solo 22 anni. E' stato trovato morto nella sua cella lunedì scorso, ma in famiglia nessuno crede al suicidio. "Qual è la verità?". La compagna Asia: "Tutte le persone che incontro mi dicono di andare a fondo. Avevamo in mente di sposarci, di ricominciare. Non può essere andata così". Domani 15 novembre l'autopsia, a giorni poi i risultati

TRIESTE – «Tutte le persone che incontro mi dicono “Asia vai a fondo”, non può essere andata così. Dicono che si è suicidato con un lenzuolo ma la mattina mi aveva detto che aveva passato la notte al freddo, senza neanche un lenzuolo per coprirsi». Leudy Gomez Rodriguez aveva solo 22 anni. L’hanno trovato morto una settimana fa, in una cella del carcere di via Spalato, a Udine. A far luce sulle cause del decesso ci penserà l’autopsia disposta dalla Procura della Repubblica del capoluogo friulano, in programma domani 15 novembre. Le prime notizie del decesso del giovane di origini dominicane parlano di suicidio, ma la madre Lucrecia e la compagna Asia non credono al gesto disperato. «Il giorno dopo avrebbe avuto un’udienza importante – così Asia –, perché mai si sarebbe dovuto togliere la vita quando c’era ancora la speranza che tornasse ai domiciliari? Avevamo parlato di fare l’istanza per il matrimonio, per ricominciare una nuova vita. Perché mai avrebbe scelto di farla finita?».

La telefonata delle 10:03 e l'udienza l'indomani

Il giorno dopo il decesso Leudy si sarebbe dovuto presentare in tribunale a Trieste. In quell’aula, il ventiduenne non c’è mai arrivato. Muore nel pomeriggio di lunedì 7 novembre. Asia ascolta la sua voce per l’ultima volta qualche ora prima, precisamente alle 10:03. «Ci siamo sentiti al telefono sabato (nel carcere di Udine i famigliari dei detenuti hanno a disposizione quattro chiamate da dieci minuti a settimana, più un’ora di videochiamata ndr), e gli ho detto che avevo prenotato la chiamata in video alle 9:40 di lunedì» racconta Asia. Si sveglia, ma alle 9:40 non arriva la telefonata concordata. «Avevo iniziato a scrivergli una lettera che non ho mai finito» sottolinea la compagna. L’ansia cresce, ma pochi minuti dopo le 10 ecco la telefonata, non in video però. «Fatti dare questa videochiamata, gli ho detto. Poi ha chiuso, ma da quel momento fino le 13 ho passato il tempo a sperare che mi passassero Leu. Ho pensato, non vogliono farmelo vedere, ma mi sono rassicurata grazie al fatto che l’avrei visto l’indomani». Leudy non si presenta a quell’appuntamento perché è già morto, dentro ad una cella.

Lucrecia viene avvisata 24 ore dopo: "Qual è la verdad?"

Passano le ore ma la madre Lucrecia non sa ancora niente, verrà avvisata del decesso solamente il giorno dopo. «Ho telefonato per vedere il corpo, ma mi è stato detto che non serviva andare a Udine, perché una volta trasferito il corpo a Trieste per la sepoltura lì avrei potuto stare con lui in una stanza quanto volevo. Ho risposto che ero già in viaggio, e che non potevo aspettare». Lucrecia arriva in via Spalato il 9 novembre. Leu è lì, davanti ai suoi occhi. «Hanno detto che si è impiccato con un lenzuolo, ma quello che ho visto io non è un segno di un lenzuolo. Nella parte sinistra del collo c’è una macchia di sangue, ma io non ho mai visto nessun impiccato sanguinare da dietro il collo. Mi ha messo tanto in dubbio». Lucrecia non si dà pace e focalizza la sua testimonianza su un dettaglio importante. «Lui è morto lunedì alle 15, ma io sono stata avvisata martedì pomeriggio, esattamente 24 ore dopo. Perché, mi chiedo, perché non mi hanno avvisata subito? Qual è la verdad di tutto questo?».    

"Non vogliamo accusare nessuno, solo chiarimenti"

La famiglia sente «l’esigenza di avere qualche chiarimento, non vogliamo accusare nessuno» dicono. Secondo la madre e la compagna, dal carcere avrebbero fatto sapere che «l’unico recapito lasciato era quello della madre, ma io non ho ricevuto alcuna telefonata». Se venisse confermata l’ipotesi del suicidio, nelle carceri italiane il caso di Leudy rappresenterebbe l’ennesimo dramma di un 2022 particolarmente tragico. «Abbiamo contattato anche l’associazione Antigone – spiega Asia -, perché vogliamo ottenere la verità». Secondo le testimonianze che Leudy aveva condiviso con la sua compagna al telefono, il giovane dominicano «aveva chiesto più volte ai secondini di essere spostato di cella. Il compagno gli chiedeva soldi, voleva i suoi tabacchi, era molto complicata la convivenza». Quando chiede, la risposta che arriva al giovane è parte di un gergo che si impara tra le stelline delle uniformi, retaggio di anacronistici cameratismi, eppure evidentemente ancora in voga tra le carceri e le caserme. «Il compagno di cella è un problema tuo».  

"Vogliamo la verità", la forza della madre e della compagna

Leudy reagisce male a quella frase e sfoga la sua rabbia tirando un calcio ad una bomboletta di gas (modello campeggio ndr). Da lì viene portato in isolamento. «Da quando era arrivato a Udine – così Asia – mi diceva che la situazione era peggiorata, l’ambiente era poco permissivo e molto crudo». Di che cosa aveva paura Leudy? «Non veniva ascoltato, mi diceva sempre che gli rispondevano male, si sentiva preso di mira». Fuori piove e nel rione di Chiarbola, dove vive la famiglia, l’aria si è fatta pesante. «Non si arrendeva mai – spiega Asia –, le persone che incontro non credono a questa storia. Mi hanno detto vai in fondo, con quello che abbiamo in mano fino ad oggi non è andata così». «Voglio che salti fuori la verità – conclude la madre –, per darmi pace, anche se so che non sarò mai più tranquilla in vita mia. Io voglio indagare, voglio capire se lui si è suicidato, se qualcuno l’ha portato al suicidio o se qualcuno l’ha ammazzato».

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