rotate-mobile
La storia

Il Carso al centro del "villaggio", quando Trieste aiutò il Belice distrutto dal terremoto

A distanza di oltre cinquant'anni dal sisma che devastò la Sicilia sud occidentale, nella città di Montevago rimangono alcuni segni indelebili della solidarietà dei triestini. Una raccolta fondi lanciata da Il Piccolo a qualche settimana dal terremoto, portò risorse sufficienti a costruire il villaggio Trieste. Nel giardino antistante le case il calcare del Carso. "I triestini ai fratelli di Montevago"

MONTEVAGO – Un giardino non è solo il luogo dove i bambini incontrano la gioia del gioco, bensì può diventare anche un manifesto dedicato alla memoria di un passato dimenticato, eppure capace di legare città e paesi distanti migliaia di chilometri nel nome della solidarietà. Nel gennaio del 1968 un violento terremoto distrusse la valle del Belice, causando oltre 300 morti e provocando circa novantamila sfollati. Il sisma scosse non solo quell’angolo di Sicilia - dove la società civile, come testimoniato dalla stampa giunta sul posto, era in condizioni di profonda arretratezza –, ma anche l’opinione pubblica di tutto il Belpaese. Furono le televisioni e i giornali, infatti, a “portare” nelle case di tutta Italia il dramma di chi, sotto le macerie, perse tutto. A distanza di 55 anni dalla tragedia – nonostante la modernizzazione della regione non sia ancora del tutto completata –, a Montevago la speranza di una nuova vita giunse anche grazie alla nostra città. Le denunce di Danilo Dolci (figura, se non fosse per il Comitato pacifista che porta il suo nome, quasi del tutto accantonata a Trieste e dintorni), si sommarono successivamente ad una iniziativa che partì dalla redazione de Il Piccolo. Una raccolta fondi, lanciata grazie ad una campagna stampa del quotidiano nelle settimane post sisma, mise assieme le risorse per realizzare quello che i montevaghesi chiamano, ancora oggi, Villaggio Trieste.

Il Carso al centro del villaggio Trieste

A testimonianza di quell’ondata di solidarietà rimane un enorme monolite di calcare, su cui venne scolpita e verniciata di rosso, una semplice frase: “I triestini ai fratelli di Montevago”. La raccolta fondi produsse non solo il giardino dove venne collocata la pietra del Carso, ma anche diverse casette (vennero costruiti anche i villaggi Tempo e Bergamo) dove far alloggiare chi aveva visto la propria casa crollare sotto cumuli di macerie. Nel comune siciliano da qualche tempo le cose sembrano essere cambiate e la sindaca Margherita La Rocca Ruvolo, assieme agli uffici, è intenzionata a rimettere mano alla zona del villaggio donato dai triestini. Un impegno che la giunta ha in mente da tempo, ma che per il momento non si è ancora del tutto concretizzato. In attesa che il giardino della fratellanza tra il profondo sud e quest’angolo di nordest torni ad ospitare il gioco spensierato delle giovanissime generazioni, ciò che rimane è il legame scolpito su quella pietra. A settembre, inoltre, l’Associazione viticoltori del Carso è stata ospite della Festa del vino, organizzata proprio a Montevago, per far scoprire i vini del nostro territorio a quell’angolo di Sicilia e viceversa. Come a dire che le basi ci sono tutte. 

Parole come pietre

Ma non solo. Fu Danilo Dolci, nelle settimane post terremoto, a portare alla ribalta le denunce contro la mafia e la speculazione edilizia che affondava le radici proprio negli interessi della criminalità organizzata. Anche nei dintorni di Montevago, infatti, comparvero le scritte sulle case che avrebbero portato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dell’illegalità diffusa. “La burocrazia uccide più del terremoto”, “Governanti burocrati: si è assassini anche facendo marcire i progetti” e “Qui la gente è stata uccisa nelle fragili case e da chi le ha impedito di riappropriarsi della vita col lavoro”, parole come macigni, più forti di quel sesto grado di magnitudo che distrusse il mondo di allora. Accuse che Dolci lanciò grazie alla radio dei poveri cristi, così soprannominata, emittente indipendente che trasmetteva da Partinico. Una storia, quella del rapporto tra la Venezia Giulia e la Sicilia rurale, che a distanza di oltre cinquant’anni rimane ancora poco conosciuta, ma che grazie ad avviate sinergie e relazioni ancora tutte da scoprire, potrebbe dar vita ad un mantenimento della memoria che, nell’epoca del mordi e fuggi digitale, appare più che mai necessario. 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Il Carso al centro del "villaggio", quando Trieste aiutò il Belice distrutto dal terremoto

TriestePrima è in caricamento