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L'altra Pasqua: il pranzo alla mensa dei frati di Montuzza, tra volontari e nuove povertà

Quest'anno la mensa, nel giorno di Pasqua, compie il primo passo verso il ritorno alla normalità. A partire da oggi, infatti, riprende il servizio di sala e tutte le domeniche i bisognosi potranno tornare a consumare i pasti al tavolo. Le testimonianze dei religiosi e dei volontari tracciano una panoramica sulle nuove povertà: "Dopo il lockdown, i poveri che conoscevamo prima non sono più tornati"

C'è chi potrebbe festeggiare la Pasqua con i propri cari intorno a una tavola imbandita ma decide di trascorrerla al servizio di chi non ha questa possibilità. Tra questi c'è chi serve il pranzo pasquale alla mensa dei poveri dei frati cappuccini di Montuzza. I religiosi e i volontari laici si suddividono il lavoro per rendere un luogo di ristoro e serenità quello che è, a tutti gli effetti, un vero e proprio osservatorio sui differenti tipi di povertà a Trieste.

Uno scenario che è variato negli ultimi anni, come spiega frate Giovannino: " Prima della pandemia c'era la figura tradizionale del povero, oggi vediamo nuove forme di povertà che hanno sempre più importanza e peso. Si va dal pensionato che non arriva a fine mese a quello che deve aiutare i figli che non hanno lavoro, fino a chi sta aspettando di ricevere la pensione perché ha lavorato in nero o non gli sono stati pagati i contributi e stanno traghettando in quel tempo che manca per arrivare la soglia minima”.

Oltre alla povertà, questi luoghi danno conforto a persone escluse dalla società per varie forme di sofferenza psichica. “alcuni di loro sono giovani - spiega il religioso -, seguiti dal Csm, con problemi relazionali in casa, quindi la mensa diventa anche una via d'uscita per stemperare le tensioni. Ci sono poi persone che hanno affrontato la separazione, quando erano insieme le spese erano minori e quando si sono separati le spese sono raddoppiate”. Tra questi, la metà sono uomini e l’altra metà donne, anche se le donne sono più numerose durante il weekend “in settimana abbiamo una sessantina di utenti - racconta frate Giovannino -, durante il fine settimana sono circa 80. Le donne sono più numerose perché ci sono anche le badanti, che la domenica sono libere e cercano di racimolare qualcosa in più”.

In sintesi, stando alla testimonianza del frate cappuccino, "col Covid abbiamo dovuto chiudere e, quando abbiamo riaperto, quelli che c'erano non li abbiamo più visti. Forse sono tornati nei loro paesi dopo aver cercato lavoro qui, fatto sta che ora vediamo solo gente nuova". La pandemia, oltre a stravolgere la platea di chi si affaccia alla mensa, ha reso necessaria la consegna dei pasti in vassoi compostabili da portare via, riducendo anche quelle poche occasioni di socialità. La novità è che quest'anno la mensa, nel giorno di Pasqua, compie il primo passo verso il ritorno alla normalità. A partire da oggi, infatti, riprende il servizio di sala e tutte le domeniche i bisognosi potranno tornare a consumare i pasti al tavolo, con l’aiuto di cinque volontari. Oggi sono otto, perché l’affluenza sarà maggiore e il menu più ricco, per offrire un vero pranzo pasquale anche a coloro per cui un pasto caldo non è qualcosa di scontato.

Per questo motivo, dal Veneto sono arrivati i “rinforzi”: Anna, Nicola e Giovanni, futuri capi scout dell’Agesci di Schio, in provincia di Vicenza. Il rito di passaggio per diventare capi prevede un weekend pasquale lontano dal loro “clan”, a servizio dei bisognosi in un’altra città. I tre diciannovenni sono arrivati in trasferta a Trieste lo scorso venerdì e hanno assistito i migranti a fianco dell’associazione Linea d’Ombra. “Ci siamo trovati in piazza Libertà - racconta la giovane Anna, con gli occhi lucidi - dove abbiamo conosciuto questi ragazzi rifugiati. Insieme abbiamo cercato di passare il tempo in modo divertente e spensierato, con quei pochi che conoscevano l'inglese per conoscere un po' le loro storie. Ci siamo resi conto che, nonostante le difficoltà, queste persone hanno voglia di ridere e giocare”.

Il giorno dopo gli scout sono andati a fare pulizie al Silos, dove i migranti allestiscono accampamenti “di fortuna”. “Un’esperienza molto forte - continua Anna, che fa parte degli scout da quando ha otto anni ma non sembra aver perso l’entusiasmo - perché tocchi con mano le condizioni in cui si trovano e ti rendi conto della fortuna che hai a vivere certe esperienze. Abbiamo poi parlato con un ragazzo che non stava più al Silos ma ci ha detto che sua moglie aveva partorito lì. Questo per noi è inimmaginabile, sono condizioni igieniche non consone a una nascita, né a una vita. Cercavamo di togliere l’ago nel pagliaio, sapendo che elimineremo l’immondizia ma poi tornerà, intanto è un gesto per dimostrare che noi ci siamo e queste persone non sono sole”.

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