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Cronaca

La "verità" delle case di riposo private a Trieste: "102 casi su 400, noi vittime del virus"

Marco Gasparini e Angelo Barrasso rappresentanti di realtà di assistenza, puntano il dito contro le affermazioni secondo cui il diffondersi del contagio e i relativi decessi sarebbero riconducibili all’inadeguatezza strutturale e organizzativa delle strutture di piccole e medie dimensioni. "Non è così"  

L'Associazione Nazionale Strutture Terza Età e l'Associazione Servizi per l'Anziano e attaccano l'assessore l'assessore alla Sanità Riccardo Riccardi sul tema delle case di riposo. Marco Gasparini e Angelo Barrasso e rappresentanti e portavoce delle rispettive realtà di assistenza, puntano il dito contro l'assessorato alla Sanità e le "affermazioni sulla gestione dell'emergenza" le quali attribuirebbero "il diffondersi del contagio e i relativi decessi all’inadeguatezza strutturale e organizzativa delle strutture di piccole e medie dimensioni".  

La "verità" dei firmatari

"La realtà che emerge è un’altra, forse più scomoda e per questo, forse taciuta" sottolineano nel comunicato inviato a Trieste Prima. "Le strutture per anziani non hanno diffuso il virus, ma lo hanno casomai subìto". Per Gasparini e Barrasso le cause della diffusione del contagio sarebbero da attribuire alle improvvide dimissioni di pazienti infetti dall’ospedale verso le strutture, alla scellerata scelta di lasciare pazienti COVID-19 positivi all’interno delle strutture e ai lunghissimi tempi di refertazioni dei tamponi". Inoltre, tra le cause bisognerebbe considerare anche "la carenza dei dispositivi di protezione individuale, peraltro più volte segnalata all’ASUGI e l’inspiegabile ritardo del piano specifico per le strutture dedicate agli anziani che ha visto la luce solo il 27 marzo". 

La categoria fa fronte comune

Le residenze per anziani a Trieste hanno vissuto e stanno vivendo uno dei punti più bassi della loro recente storia. E per i rappresentanti di categoria, tutto ciò può essere imputato alle singole gestioni. "E' bene ricordare che le strutture per anziani - continua la nota - non sono dei reparti ospedalieri di infettivologia o di terapia intensiva o semi-intensiva, ma delle strutture che offrono assistenza sociosanitaria con diversi gradi di intensità sanitaria che, peraltro, non è deputata a raggiungere i livelli di quella erogata in regime ospedaliero".

Le tutele e il contagio

La tutela sanitaria prevista in queste realtà che si occupano di persone non autosufficienti e che solo di recente sono state "riclassificate come strutture a valenza sociosanitaria", sarebbe infatti "generica". "I requisiti organizzativi che sono richiesti vedono alti minutaggi assistenziali (ascrivibili all’ambito sociale), bassi minutaggi infermieristici e riabilitativi e nessuna presenza medica interna (prestazioni ascrivibili all’ambito sanitario). Non si comprende quindi come, data la vocazione prettamente assistenziale delle strutture, si possa aver pensato di usarle come argine al diffondersi del contagio e luogo di trattamento e cura degli affetti da COVID-19". 

I protocolli e le direttive

Una scelta che secondo i firmatari del comunicato, andrebbe a cozzare con le direttive dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che richiamava, anche per favorire l'isolamento, la necessità di "organizzare ospedali dedicati al COVID-19 per pazienti bisognosi di ricovero, mentre per pazienti che non necessitavano ricovero, suggeriva persino la creazione di strutture dedicate e persino palestre o stadi".

L'affondo su Asugi

Gasparini e Barrasso ne hanno anche per l'Azienda Sanitaria. "L’ASUGI - si legge - al contrario, ha reputato di lasciare nelle strutture le persone che presentavano sintomi sospetti o erano positive arrivando a negare il ricovero in assenza di un decadimento fisico importante. Sono stati imposti protocolli improvvisati di isolamento che si sono rivelati oltretutto impraticabili per le caratteristiche (non limiti, ma caratteristiche!) strutturali delle residenze e per la specificità dei soggetti da isolare - molto spesso anziani portatori di deficit cognitivi e quindi difficilmente contenibili in aree delimitate". A tutto ciò si dovrebbe aggiungere anche la difficoltà a reperire i dispositivi di protezione individuale sul mercato, criticità che avrebbe completato un quadro, per quanto riguarda "le misure scelte per contrastare il contagio", che la nota definisce di "assoluta inadeguatezza".

L'analisi interna e i dati delle residenze

Sul fronte dell'analisi delle case di riposo, i rappresentanti fanno sapere che è in corso una "rilevazione interna" di cui sarebbero disponibili alcuni dati parziali e che verranno diffusi a breve. Dal monitoraggio che emergerebbe, i rappresentanti affermano che "la situazione è esattamente opposta a quella descritta con insensato allarme in questi due mesi di emergenza. Le strutture piccole son per la maggioranza CoViD free" anche perché si sarebbero attrezzate "ben prima del piano di ASUGI del 27 marzo". 

Le misure

Misure come "il distanziamento fisico, l’uso di appropriati dispositivi di protezione individuale (specialmente per il personale sanitario), evitare che il personale di cura sia operativo su più residenze, l’insistente richiesta ad ASUGI per l’effettuazione di tamponi in uscita dall’ospedale e l’adozione di connessi percorsi di quarantena, nonché l’attivazione di percorsi e spazi di quarantena interni al fine di permettere l’accoglimento di pazienti non infetti dall’ospedale o da RSA", avrebbero di fatto stoppato la diffusione del virus. 

Quando si è manifestato il virus nelle case di riposo

Nella nota poi si stila l'elenco cronologico dei contagi nelle case di riposo. Secondo i rappresentanti, il primo in assoluto nelle residenze (che coincide anche con il primo decesso in Friuli Venezia Giulia) è quello di Casa Serena, avvenuto il 7 marzo. Una settimana dopo è il turno di Casa Bartoli e della Gregoretti. Tutte e tre le case di riposo sono comunali. Il 23 marzo "tocca" all'Itis, il 28 il virus arriva all'Emmaus e il giorno dopo ecco Ad Maiores. Sono i giorni più duri, quelli di fine marzo che vedono anche il contagio arrivare nella Mademar, precisamente il 30. 

Ad aprile "scoppia" il caso de La Primula, con la quasi totalità delle persone ospiti che risultano positive al CoViD-19. Il giorno dopo anche Casa Antonella a Opicina viene raggiunta dal virus mentre è del 18 aprile la notizia dell'Hotel Fernetti. Infine, sempre secondo la tabella inserita nel comunicato, la Mater Dei è colpita dal virus il 21 aprile.

La conclusione

"Ora si vuole scaricare la responsabilità dell’insuccesso sulle strutture", i rappresentanti criticano così le misure messe in campo e rincarano la dose su Asugi. "A riprova della errata scelta di mantenere sospetti e positivi all’interno delle strutture, troviamo l’improvvisa inversione di rotta del 22 aprile dell’ASUGI che nell’aggiornamento del “Piano per residenze e disabili in risposta all’emergenza sanitaria da SARS- COV-2”corregge il tiro" precisando, si legge, che "i soggetti ospiti in strutture residenziali che vengono diagnosticati come COVID-19 + devono essere spostati da numerose residenze strutturalmente inadeguate all’isolamento e organizzativamente precarie per due motivi:

  • Necessitano di un livello di assistenza sanitaria più intenso per affrontare anche la patologia infettiva oltre alle altre patologie croniche e alla disabilità di cui sono portatori
  • Restando in struttura senza adeguato isolamento possono trasmettere la malattia ad altri ospiti estendendo il contagio e peggiorando l’epidemia “

"L’ASUGI ha stabilito che in uscita dall’ospedale (anche dopo solo poche ore di permanenza… ), non ci si possa più ricoveraire in alcuna residenza senza un preventivo periodo di quarantena di 14/21 gg in strutture Covid FREE dedicate. Questa prescrizione appare come un’ammissione del fallimento delle scelte precedenti" sempre la nota. 

La paura è quella poi riferita ad un presunto smantellamento delle strutture di piccole dimensioni e al favorire "grosse concentrazioni di posti letto". Insomma, una possibile scelta che, secondo i firmatari, "non tiene conto degli sforzi imprenditoriali intrapresi per l’adeguamento di molte strutture ai requisiti da poco stabiliti dalla Regione". Gasparini e Barrasso concludono con una nota polemica. "Quello che non possiamo accettare è che, immeritatamente, una categoria intera venga messa sulla graticola e minacciata giornalmente sui giornali di essere cancellata senza alcun ragionamento condiviso ma con decisioni prese in “autonomia” al solo scopo, ci sembra, di spostare l’attenzione dal vero problema e dai veri responsabili". 

Infine, i firmatari hanno voluto comunque ringraziare il personale infermieristico e di assistenza dei Distretti "per l’enorme mole di lavoro svolta al fianco delle Residenze in condizioni “difficilissime”" .

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