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Domenica, 28 Aprile 2024
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Malato e invalido, dovrà lasciare la casa a moglie e figlie: la decisione del tribunale

L'uomo, un cinquantenne, è affetto da mielopatia, con invalidità riconosciuta al 100 per cento. La Corte d’Appello ha assegnato l'appartamento alla moglie, affidataria delle due figlie, le quali avevano espresso la volontà di abitare con la madre e vivere in quella casa. L'avvocato del marito: "Non può permettersi un'altra casa, lavora poche ore al giorno a causa della malattia". Il legale della moglie: "Secondo Ctu può lavorare"

TRIESTE - Un cinquantenne affetto da mielopatia, con invalidità riconosciuta al 100 per cento, dovrà abbandonare la sua casa di proprietà e lasciarla alla moglie e alle figlie: lo ha deciso il Tribunale di Trieste nel corso di un travagliato percorso di separazione, iniziato nel 2021. La visita dell’ufficiale giudiziario, che avrebbe dovuto rendere esecutivo il provvedimento, risale allo scorso 13 gennaio. In quell’occasione, tuttavia, l’uomo era allettato e lamentava forti dolori alla schiena, quindi il suo allontanamento dall'abitazione è stato posticipato di un mese. La Corte d’Appello ha infatti assegnato l'appartamento alla moglie, affidataria delle due figlie, le quali avevano espresso la volontà di abitare con la madre e vivere in quella casa.

L'uomo è un artigiano, ha un’attività in centro città e lavora con orario (e reddito) ridotto a causa della sua patologia. Secondo una consulenza tecnica d’ufficio, richiesta dalla controparte, la sua capacità lavorativa è ridotta del 50 per cento. Condizione legata anche ad una cura farmacologica, con cortisone e antibiotici, oltre che a una retinopatia collegata alla malattia cronica. Inoltre, secondo i medici, la sua precaria condizione patologica potrebbe degenerare in una leucemia fulminante nei prossimi tre anni. Ripercorriamo la vicenda dall’inizio.

I fatti

Nel 2021 l’uomo subisce un trapianto di midollo osseo a cui, inizialmente, segue una reazione di rigetto, curata con immunosoppressori. Nel frattempo è in corso la separazione e la moglie insieme alle due figlie (una di loro minorenne all’epoca, oggi maggiorenne) chiedono di vivere con la madre e di rimanere nella casa in cui abitano da qualche anno. Nell’aprile del 2022 il giudice Arturo Picciotto riconosce la condizione di grave malattia dell’uomo e gli assegna la casa, purché paghi alle due figlie un contributo di 400 euro ciascuna e alla moglie 600 euro quale contributo per la locazione di un nuovo alloggio. Questo provvedimento viene impugnato: il marito, assistito dall’avvocato Stefano Alunni Barbarossa, chiede la riduzione del contributo per “capacità reddituale non sufficiente” e la moglie, con l’avvocato Claudio Vergine, chiede l’assegnazione della casa. Pendenti i due procedimenti, la donna spontaneamente lascia la casa coniugale e si trasferisce assieme alle due ragazze in una casa in locazione.

Il provvedimento della Corte d'Appello

Il 15 luglio del 2022 la Corte d’Appello, presieduta dal giudice Giuseppe De Rosa, accoglie entrambe le istanze: revoca l’assegnazione della casa al marito in favore della moglie fissando un termine per il rilascio al 30 dicembre 2022, cancella il contributo alla moglie e riduce quello destinato alle figlie. L’avvocato del cinquantenne presenta quindi al Tribunale delle istanze di modifica ma il giudice Anna Lucia Fanelli le rigetta, ripristinando invece un contributo di 300 euro per la moglie, visto che l’uomo non lasciava spontaneamente la casa. Su richiesta della donna viene disposta una consulenza tecnica d’ufficio per stabilire l’entità dell’incapacità lavorativa del 50enne, e vengono anche effettuati controlli sul suo stato patrimoniale (secondo la controparte l’uomo possiede dei soldi all'estero, ma la circostanza non è stata rilevata dai controlli delle forze dell’ordine). La consulenza evidenzia invece una capacità lavorativa ridotta del 50 per cento e conferma la prognosi incerta e la presenza della patologia oculare. Seguono altre istanze di modifica per la riassegnazione all'uomo della casa coniugale che vengono ancora una volta rigettate. Il Giudice fissa quindi la prossima udienza nel marzo del 2024.

Gli interventi degli avvocati

“Il mio assistito - sostiene l’avvocato Alunni Barbarossa - nel suo stato di salute lavora solo per poche ore al giorno e non ha un reddito sufficiente a trovare una sistemazione diversa dalla casa di cui è proprietario. E’ debilitato dai farmaci, immunodepresso e la sua patologia potrebbe peggiorare entro i prossimi tre anni, Al momento riesce a pagare tutte le spettanze perché riceve aiuto economico dal fratello, che non abita in Italia ma saltuariamente lo viene a trovare, e dalla madre che lo assiste, cosa che la moglie e le figlie non stanno facendo”. In più, dichiara l’avvocato, “nel mercato libero il mio cliente non trova una casa in affitto perché non ha nessuno che può garantire per lui e non può accedere agli alloggi popolari per questioni di Isee in quanto la moglie non ha spostato la residenza”. Infine, il legale spiega che “la signora lavora e abita già in una casa che le è stata concessa all’affitto agevolato di 400 euro (il marito le corrisponde mensilmente 300 euro). Una delle figlie, invece, studia all’estero mentre l’altra è maggiorenne e non si sa cosa faccia al momento. Abbiamo chiesto al giudice di ordinare alla madre di documentare cosa stiano facendo le due ragazze allo stato attuale”. Si attendono ora la prossima visita dell'ufficiale giudiziario e l'udienza del prossimo marzo.

Sull’interpretazione della Ctu, le parti discordano. Così dichiara infatti l’avvocato Claudio Vergine, che assiste la moglie: “La casa è stata assegnata alla moglie in qualità di affidataria di una figlia minorenne e di convivente con una figlia maggiorenne, entrambe studentesse. Sebbene il provvedimento di assegnazione sia stato pronunciato oltre un anno fa dalla Corte d’Appello e confermato per ben tre volte dal Tribunale, il marito tuttora si rifiuta di adempiervi spontaneamente. Questo è il motivo per cui la moglie si vede costretta a farlo eseguire con l’ausilio della forza pubblica. Il marito svolge attività artigianale in un laboratorio di sua proprietà. La patologia da cui è afflitto non gli impedisce affatto di lavorare: circostanza accertata in corso di causa dal medico legale nominato dal Tribunale”.

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