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L'impresa

Sul tetto dell'Africa sfidando la bufera, l'impresa del triestino Marco Parlante

Trentunenne di professione tecnico del suono, nelle scorse settimane ha portato a termine la scalata del Kilimanjaro, la vetta più alta del continente africano. Il primo tentativo l'anno scorso, abbandonato a causa della febbre. "Ho ripensato a quei momenti in cui mi ero sentito così sconfitto, e al senso di rivalsa nell'avercela fatta adesso. È stato emozionante". Nella testa l'avventura di Felice Benuzzi e il rispetto per la montagna. La storia

TRIESTE - "Appena ho intravisto la cima nel mezzo della bufera mi sono commosso perché ho pensato a me stesso di un anno fa. Questo non era il mio primo tentativo sul Kilimanjaro, nel 2023 purtroppo mi ero dovuto arrendere a una giornata dalla cima per colpa di una brutta febbre. Ho ripensato a quei momenti in cui mi ero sentito così sconfitto, e al senso di rivalsa nell'avercela fatta adesso. È stato emozionante". Marco Parlante è un trentunenne triestino, di professione tecnico del suono, che nelle scorse settimane ha portato a termine la scalata della cima più alta del continente africano. Una sfida preparata da tempo (e ispirata dall'avventura del concittadino Felice Benuzzi, storia magistralmente raccontata da Wu Ming 1 e Roberto Santachiara in "Point Lenana"), ma che l'anno scorso si era interrotta ad un passo dalla vetta. 

La montagna: "Pole pole"

Il Kilimanjaro non è una montagna normale. "Il motto è pole pole, che significa piano piano. Non serve essere alpinisti esperti, ma non si deve mai sottovalutarla. L'elicottero dei soccorsi volava ogni giorno". La preparazione è una delle tappe fondamentali nel voler toccare i 5.895 metri della vetta d'Africa. "Ci sono sette vie di ascesa di diversa difficoltà - racconta Parlante - e la durata può variare dai cinque ai 10 giorni. È anche obbligatorio salire accompagnati da una guida". Parlante ha scelto di compiere "un'ascesa piuttosto spavalda, in soli sei giorni", anche se "consiglio percorsi più graduali da almeno sette". L'ostacolo più grosso è rappresentato dalla rarefazione, man mano che si sale, dell'ossigeno. "È essenziale dare tempo al corpo di acclimatarsi - continua il trentenne - quindi più giorni si dedicano alla salita e più sono alte le possibilità di successo. Serve un buon livello di fitness e una mentalità forte e positiva sopratutto per superare i momenti in cui si presentano i sintomi del mal di montagna". 

Testimone oculare del cambiamento climatico

Parlante non è nuovo a sfide simili, ma le avventure che prepara non vengono alimentate dall'ossessiva ambizione di salire sempre più in alto. "La prossima avventura ad esempio molto probabilmente sarà tutta in pianura. Ammetto che però, tra le tante idee che mi girano per la testa, ci sono anche alcuni seimila del Sudamerica, in particolare l'Huayna Potosi in Bolivia". Il rapporto con le montagne può produrre riflessioni sull'inarrestabile cambiamento climatico in corso. Chi scala le cime delle montagne è tra i testimoni oculari di questo cambiamento. "Uno dei motivi per cui ci tenevo a raggiungere il cratere sommitale del Kilimanjaro era proprio per vederne i ghiacciai, perché nel giro di poche decine di anni spariranno. Nell'ultimo secolo si sono ridotti dell'80 per cento. E qualcosa non quadra pure con la stagione, ora sarebbe quella secca eppure piove ogni giorno da un mese. Anche durante l'ascesa del Peak Margherita in Uganda ho potuto notare l'evidenza dell'arretramento del ghiacciaio. Oltre alla via che ormai è proprio deviata su roccia, i segni peggiori li ho visti a valle: un villaggio devastato da una terribile frana/inondazione causata dal distacco di enormi pezzi di ghiacciaio. Case spazzate via, impressionante". 

L'ispirazione dalla vita di Felice Benuzzi

"È anche grazie a quel libro che ho iniziato ad interessarmi alle cime africane tanto che un giorno mi piacerebbe salire sul Point Lenana, terza cima del monte Kenya. Lì è proprio un simbolo di libertà e fuga. Il mio rapporto con la montagna è sopratutto di rispetto. La tratto come se fosse una persona, e col tempo ho imparato a percepirne i segnali che invia. Siamo degli ospiti, ed ogni tanto la montagna ci fa capire che è meglio lasciar perdere e scendere. Va ascoltata, come fanno anche i marinai col mare. Non bisogna mai darle del tu". 

Perché si scalano le montagne?

"Ho cercato da sempre di costruirmi una vita quotidiana - conclude Parlante - che mi piacesse in tutti i suoi aspetti e da cui non doverne fuggire per staccare. Nei miei primi viaggi da solo lo facevo un po' per avere tanto tempo tra me e me, parlarmi, conoscermi meglio, ma dopo tanti anni ora non lo faccio più per quello. Mi affascinano le montagne come sfide e come metafora della vita. Il fatto di avere un obiettivo lontano e difficile come la vetta, doverlo affrontare a piccoli step, doverne pianificare i passaggi, rispondere direttamente dei propri errori, imparare a gestire e superare gli imprevisti. Per me è tutto allenamento che poi applico nella vita di tutti i giorni. È lì il bello".

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