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La richiesta di risarcimento

Lo studio sul proteo diventa un "caso" di proprietà intellettuale

Venticinque anni fa il naturalista Nicola Bressi aveva pubblicato uno studio, in collaborazione con ricercatori di Lubiana e Udine, che oggi viene liquidato alla stregua di una "ipotesi senza evidenza". Bressi annuncia di riservarsi "ogni mezzo a sua tutela e risarcimento". La presentazione oggi 10 marzo allo Speleovivarium

TRIESTE - "Mai si era giunti allo sberleffo di citare marginalmente lo studio pregresso, liquidandolo come "ipotesi senza evidenza". Questo caso sì un fenomeno (umano e triste) senza precedenti. Ora, capisco la necessità di marketing, di fondi e di carriera che spingono taluni a pubblicare a ogni costo per acquisire punteggi e fama; tuttavia per onestà intellettuale e chiarezza d'informazione al pubblico, va dato a Cesare quel che è di Cesare. Cesare si riserva ogni mezzo a sua tutela e risarcimento di proprietà intellettuale". A scriverlo nero su bianco è Nicola Bressi, naturalista e divulgatore scientifico triestino che dopo l'annuncio di "nuovi" risultati scientifici sulla presenza del proteo in acque superficiali (che verrà presentato domani 10 marzo presso lo Speleovivarium), ha risposto rivendicando la paternità di uno studio pubblicato nel 1999. 

Lo sfogo di Bressi

"Il comportamento - scrive Bressi - è noto da oltre un secolo, descritto scientificamente e pubblicato congiuntamente già 25 anni fa dai ricercatori dei tre Musei di Storia Naturale del territorio: Trieste, Lubiana e Udine. All'epoca venne deciso di non strombazzare il tutto ai quattro venti per tutelare il proteo dalle catture illegali (basiti che ora siano state pubblicate le località) e poi perché, appunto, il fenomeno era noto da un secolo. Noi fummo solo i primi a descriverlo scientificamente. La storia della scienza è stata purtroppo costellata da spiacevoli fatti in cui alcuni si attribuivano primogeniture. Ma almeno fingevano di non essersi accorti degli studi precedenti".

Il caso

Il caso inizia con la pubblicazione dello studio portato avanti da Raoul Manenti e Benedetta Barzaghi, poi pubblicato sulla rivista Ecology. La "scoperta", si legge, ha visto il coinvolgimento dell'Università Statale di Milano, in collaborazione con la Società adriatica di speleologia e lo stesso Speleovivarium. A tale riguardo arriva la risposta da parte degli organizzatori dell'evento di domenica. "E' grazie al lavoro di studiosi come Lei ed altri che ora si è in grado di approfondire e validare ulteriormente i risultati attraverso monitoraggi e tecniche avanzate. Le ricerche pregresse hanno stimolato e attratto molti ricercatori verso lo studio dei protei, hanno investito risorse ed energie in più di due anni di ricerche. Conoscendo meglio questa specia, potremo anche preservarla meglio".

"Essenziale un approccio rispettoso"

Infine, dallo Speleovivarium arriva la chiosa. "Condivido la sua preoccupazione per la corretta attribuzione del merito scientifico e per la trasparenza nelle informazioni. E' essenziale un approccio rispettoso nei confronti di tutti coloro che hanno contribuito alla conoscenza di questa specie ed anche la cooperazione e la condivisione dei risultati attraverso una conspevole divulgazione per la migliore conservazione del patrimonio naturalistico così vicino a noi. Speriamo che il prossimo evento presso lo Speleovivarium possa offrire un'opportunità in più per tutti gli appassionati".

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