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Cronaca

Contagiato e guarito: la storia dei miei 20 giorni di Covid in ospedale

La malattia, la paura, la gioia e il post Covid: Enrico racconta la sua lotta contro il virus

“Come stai?" "Mi sento molto debole e ho ancora degli strascichi. Ho fatto la mia prima passeggiata e dopo 25 minuti di camminata mi tremano le gambe”. Comincia così l'intervista ad Enrico, positivo al Covid, al termine dei 26 giorni - sei a casa e venti in ospedale - più difficili della sua vita. Enrico ha 59 anni ed ha contratto il virus i primi di ottobre. Ci risponde con voce rauca, ma il tono è calmo e sereno: “Nel complesso sto bene, ma oltre alla debolezza, ho ancora qualche ripercussione psicologica”. La sua storia inizia con i primi sintomi: la febbre e la perdita del gusto. “Quel giorno - ci ha detto -, nel giro di un'ora, ero arrivato a 39,7. Non percepivo il sapore del cibo e non avevo alcuna voglia di mangiare. Ho subito chiamato il servizio sanitario e il giorno seguente ho fatto il tampone. Era positivo”.

Il ricovero

“Sono rimasto a casa per circa una settimana. Non avevo tosse, ma una febbre che, nonostante la Tachipirina 1000, non scendeva mai al di sotto dei 38,8. La situazione è peggiorata quando, nonostante non riuscissi ancora a mangiare, mi sono alzato per farmi una spremuta. In quel momento il mio fisico ha ceduto e sono svenuto. Poi c'è stata una tosse che non smetteva mai, la telefonata ai servizi sanitari e l'ospedale”. Dopo circa una settimana Enrico viene ricoverato al Maggiore, ma le sue condizioni non migliorano. Qualche giorno dopo, lo trasferiscono al 12esimo piano dell'ospedale di Cattinara, al reparto di terapia semi intensiva. “Mi hanno messo prono, a pancia in giù. Inalavo attraverso un tubo e la maschera. Per quattro giorni sono rimasto disteso, fermo e immobile, ma cosciente e, per i medicinali a base di cortisonico, non dormivo mai. In momenti come quelli perdi la concezione del tempo. Sei solo e non riesci a renderti conto di cosa ti stia succedendo. Comincia a passarti davanti tutta la vita. La testa si riempie di pensieri e capisci quanto poco basti per essere felici. Ricordo ancora la prima volta che ho mangiato. Ero rimasto a digiuno per circa 15 giorni, poi finalmente una domenica è arrivato il pranzo: pasta con sugo di formaggio e pepe, una coscia di pollo e insalata fresca. Non sentivo ancora i gusti, ma solo il poter vedere del cibo mi ha commosso: mangiavo e piangevo di felicità".

La guarigione e il post Covid

Grazie al fisico da ex sportivo, le condizioni di Enrico migliorano. Viene quindi prima portato nuovamente al Maggiore in isolamento, poi, finalmente, arriva anche il tempo di casa. “Quando sono uscito ero debole, riuscivo a malapena a camminare: facevo un metro ogni dieci secondi. Ero anche emozionato e scosso, ed ho pianto molto. Una volta arrivato a casa sono stato preso dall'euforia, ma dopo tre giorni sono passato ad una sorta di apatia. Ti senti un'altra persona e ti devi ricostruire. Sono molti i risvolti psicologici, ma arrivano dopo. Mi sono sentito come se qualcuno avesse frullato tutte le mie convinzioni e le cose in cui credevo. Hai una forte sensazione di disorientamento. E' stato una sorta di reset, un invito a fermarsi e ad apprezzare le piccole cose della vita. Di quel periodo conservo anche un ricordo molto piacevole: gli operatori sanitari ed i volontari sono persone fantastiche. Sento spesso dire che sono angeli: è vero. Ho visto un'umanità che difficilmente vedi in giro. Non smetterò mai di ringraziarli”.

Dopo questi ventisei giorni Enrico però non riesce ancora a capire come sia stato contagiato e rivolge a tutti un invito: “Non so ancora come io abbia preso il Covid. Non ero e non sono mai stato un negazionista, anzi sono sempre stato attento. A quelli che negano l'esistenza del virus, e non solo, dico che bisogna stare attenti: finchè non succede a te non ti rendi conto. E se ti capita, è questione di un attimo. Le regole sono l'unica difesa che abbiamo".

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